15 febbraio 2010

Trattoria "IL TOSCANO" - Solarolo Rainerio fraz. San Lorenzo Aroldo (CR)


Diversi ristoranti propongono cucine tipiche riferite ad un determinato territorio, non molti però riescono ad essere (per svariati motivi) specchio dello stesso. Non è il caso (fortunatamente) di questo locale che gestito da Toscani D.O.C. , propongono una cucina autenticamente toscana, (fatto salvo una portata che avrete poi modo di appurare), e dove infine le materie prime arrivano direttamente dalla terra del Granducato.
Ho avuto il piacere di andare in questo luogo con e su indicazione dell’amico Lilluccio Bartoli, ed a lui, al suo amore per i sapori, alla sua cultura e competenza enogastronomica, lascio la parola…

"Tanto per hominciare, sul banco del barre ogni bendiddio: bruschette al pomodoro (figlia legittima della fettunta) polpette (la vera insegna del un si butta via nulla) soppressata, finocchiona, rigatino e poi frittate, crostini, salami, spiedini, fritti mistissimi e chi più ne ha, più si faccia sotto con gli aperitivi.
Debbo dire che tale cornucopia fa allegramente sgargarozzare i lieti calici al suono cadenzato di tappi che saltano dalle fresche bottiglie, il cui contenuto si volatilizza giù per il gargarozzo degli habituè, nessuno dei quali dà la minima impressione di devolvere il 5 per mille alla lega antialcolica.
Se si toglie antialcolica si potrebbe avere una minima impressione al riguardo delle simpatie parlamentari, mentre al riguardo dei salti delle fresche bottiglie, qualcuno le ha pure fatte saltare, rischiando d'andare al fresco.
Fanno solo poche cose, tutte rigorosamente, vergognosamente, sapientemente, autenticamente, rudemente toscane. A me è capitato d'incappare (aspetta che lo scrivo giusto: in -k- re) nei roventini, una sorta di sottile involtino il cui ingrediente principale ha a che fare con l'Avis ed il cui santo protettore è San Guisuga, lo stesso della dichiarazione dei redditi e delle finanziarie bis del governo. Col sangue si possono fare molte cose: riesce benissimo anche morire per la patria, purchè il sangue versato non sia dell'addetto a£ v€r$amentooo.ooo.ooo.
Tranquillizzo gli schizzi...nosi: non è in menù, è un piatto special reserve per veri gourmand dall'appetito violentemente maschio: roba da carrettieri, da scarriolanti, da cavatori, da carbonai; roba d'altri tempi, d'altri mestieri, d'altre (d'al3: straphalcyòn number albero) miserie, invero poco dissimili da quelle indottrinanti i vari Co.Co.Co., assunti a tempo determinato o per un lavoro a progetto. C'era più nobiltà nella miseria dei primi.
Al Toscano si trova tutto il necessaire per diventare una buona forchetta; l'hanno inventata proprio loro, a Firenze, gli orafi, si potrebbe dire che l'hanno inventata l'oro. Prima era uno stecco lanceolato -lingula o, in lingua, inghiottitoio- che i fini cesellatori al servizio dei Medici modellarono a mo' di piccola forca (no, non trattasi di appendicanaglie col quale si trastullava il potere dando al popolino le tre effe Festa Farina e Forca, ma di forcone: tridente -ras'c, in dialèt- ovvero forchetta) che in seguito le regine medicee portarono in dote a spasso per le corti d'Europa.
Assieme all'innovativa posata -i cui rebbi aumentarono, dai due di partenza via via a quattro- uno stuolo di scalchi, vivandieri et similia, esportarono da Firenze, anche i piatti sdoganati dalla toscanità per assurgere a ruoli internazionali.
Si rassegnino i francesi, ai quali le palle ancor gli girano, per la loro zuppa di cipolle la cui primogenitura è data dalla carabbaccia, per l'anatra all'arancia alias papero al melangolo e per una salsa di colla, chiamata colletta, che Louis de Bèchamel ha fatto sua.
Se la prendano con Caterina De' Medici e rammentino gli araldi (che non sono di San Lorenzo Araldi) che il giglio di Francia "assomiglia" molto al giglio fiorentino.
A margine di questa digressione, una nota curiosa sullo spiritaccio toscano: i franzosi erano chiamati nuvoloni, per via degli editti, le cui grida principiavano con Nous voulons...
Del resto, a Fucecchio, la statua dall'equilibrio instabile di uno scrittore (non è ancora quella di Indro Montanelli) è stata fissata facendo appoggiare le bronzee terga ad una pila di libri, beccandosi seduta stante (è il caso di dire) il nomignolo di cacalibri.
Rimanere nella toscanitudine conosciuta ai più, sarà facilissimo. Rinfrancanti ribollite, pollo fritto con fritto misto toscano (non sia mai che venga servito con una salutare insalata fresca, se si deve rovinare il fegato, lo si rovini a mmodo, ovvia) e pappardelle al cinghiale. Le pappardelle col cinghiale sono anch'esse la morte sua -con grade disappunto del cinghiale in oggetto- che ci rimette la buccia, s (ovvero, esse: fesseria number tree bis.Traduco: albero bis) si sposano che è una bellezza al cighiale, anche se al suino andrebbe meglio una cinghiala da tirare nella tana, da cui "se la tira" e " tirare la cinghia(la)" alla qual cosa si ispira il governo facendocela tirare.
Un passo indietro (orteidni. Phessery number tree tris, ma adesso la pianto con la pianta) merita la ribollita. Nasce con l'assemblamento di due piatti della miseria nera ed è col cavolo che ve lo spiego!
In primis (ovvio, è un primo) occorre il cavolo nero, ecco giustificato il colore della miseria, o cavolo palmizio di Toscana, giusto per dar sfoggio della conoscenza in materia di brassicacee, toh ciàpa! In secundis fagioli cannellini detti anche, ma va, toscanelli.
lI due piatti coniugantesi per dar luogo alla ribollita, sono il cavolo con le fette, alias fettunta a fare da canapè al cavolo e la zuppa lombarda: acqua di cottura dei fagioli su bruschetta con qualche rado occhieggiante dicotiledone naufragante nella solitudine. Era la zuppa che i lombardi chiamati colà a bonificare le terre, rinfrancava dai morsi della fame le bocche che non conoscevano altro che miseria. Se per caso fossero diventati ricchi, come massima aspirazione, sarebbero andati a mendicare a Montecarlo.
Genesi della ribollita: cavolo con le fette + zuppa lombarda = zuppa di fagioli.
Zuppa di fagioli + fette di pane = zuppa di pane
Zuppa di pane avanzata + cipolle + rianimazione (ribollitura) in forno = ribollita. D'estate si serve diaccia, previa benedizione d'olio buonerrimo, con a latere uno spicchio di cipolla rossa da sfogliare, usandone i petali a guisa di cucchiaio. Nel ritratto del mangiafagioli, accostata al piatto dell'affamato, fa la sua bella figura la cipolla, che non sempre fa piangere. Al contrario del governo.
Altro piatto proletario, il lampredotto (trippa: vero vessillo del giglio fiorentino) che io prendo in doppia porzione, in pratica un lampresedici (voilà la castronata number four, ma nambèr sedici sarebbe stato molto più meglissimo) pappa al pomodoro, fiorentina da sogno a due piazze (della Signoria e del Porcellino e mi porto avanti con la fesseria numero 5) così si approfitta delle due piazze e del guanciale di porcello.
Non propriamente un sogno gli gnocchi alla crema di tartufo. Da rivista femminile per palati appiattiti, dove il tartufo è oggetto non identificato (ecco perché tart U.F.O) se non dall'alchimista che ne ha estratto chimicamente l'essenza e da qualche portatore sano di papille gustative non rincoglionite, inorridite dal sentir evocare il tartufo a sua volta blandamente e ignobilmente evocato da un preparato nel quale il tartufo presenzia -ad odor di firma- in percentuali lillipuziane da zero virgola zero zero. Tracce. Più che sparute tracce, sparite tracce.
Auspico che la sostanza in oggetto sparisca dal menù all'apparire di aulenti lamelle tartufoidi e che gli gnocchi siano al tartufo e non alla fintasinteticacrema di similcircamenoquasiforse tartufo assente impresenziato.
Archiviata questa nota, passiamo al piatto estivo d'eccellenza, la panzanella, the panzanell, la panzanèlle, die panzanellen, insùma pàan bagnàat cunsàat. Panzanella, alias pan molle, strizzato, sbriciolato (solo la midolla, home si disce affirènze) hondito con olio bono, pomodori, cipolle rosse, basilico (in Toscana -con toshana disinvoltura- la panzanella viene pure chiamata troiaio).
E' un incrocio tra il pane e le verdure estive, qui servita -trattandosi di un incrocio- con diritto di precedenza alle verdure. Traduzione: la panzanella dev'essere un povero recupero di pane stantìo (pane posato, home si disce affirènze) ma vestita a festa con tutta quel bendiddio un l'è vvera. La povertà ha la sua dignità, nella semplicità e non mascherata da una ricchezza che non le compete.
Può succedere che nella padella del fritto misto si trovi, a mio agio, qualche costoletta d'agnello che -furbissima, per non scottarsi- ha dapprima indossato una tutina di pangrattato e uova. Chi, davanti a questo attentato al fegato, chiede il limone, merita d'averlo strizzato negli occhi. Il povero agnello, non s'accontenta di sguazzare felice nel suo bagnetto caldo, ma pretende talvolta una sauna in forno nella versione abbacchio, da cui la nota espressione di abbacchiato dell'ovino.
Dalle pagine dei piatti dimenticati qui è possibile trovare alcuni fogli strappati dall'oblìo, come il peposo. Dirò soltanto che la sua storia è strettamente legata ai fornacini dell'Impruneta (mai sentito parlare del cotto fiorentino?) che durante la veglia al foco approfittavano del calore per approntare questo sapido intingolo (uno straccio di indizio così l'ho dato) e far bisboccia. Per mettere disordine in quel che ho appena scritto, non confondete il cotto fiorentino col crudo di Parma.
Per non mettere disordine tra i fochi della cucina del Toscano, provate ad ordinarlo con ossequioso anticipo, fatevi riconoscere come amanti di piatti maschi e se supererete la prova, beccatevi quattro moccoli in slang fiorentino (dove è probabile che vi parlino male della mamma e delle sue specchiate virtù) come scotto al raggiungimento dell'agognato, e pappatevi il peposo, lubrificandone il percorso aspergendo del Carmignano di Artimino di Contini Bonaccossi.
Difficilmente parlo di vini, se stavolta l'ho fatto, provate ad immaginare perché; se vi difetta la fantasia autoprescrivetevelo -non è mutuabile- e guarirete dalla malattia che colpisce l'invereconda tristezza degli astemi. Se siete in questo girone, dopo la conversione, vi omaggerò dell'iscrizione gratuita alla lega antianalcolica nel cui statuto all'art. 1 è specificato che l'alcool è nemico dell'uomo e all'art. 1 bis che chi fugge davanti al nemico è un codardo. Vi è pure menzionato, all'art. unduetre (ciàpèl ch' èl gh'è) che un grappolo che scappa dalla vite, se la svigna (album delle fesserie, casella n° 6).
Per addolcirci dall'amara constatazione, finiamo co' hantuccini, rigorosamente fatti in casa nel cantuccinificio personale del Toscano. Da mettere sotto i denti dopo un' immersione nell'acquasantiera contenente vin santo. Affinchè vin santo e cantuccini siano di equa parità, per un matrimonio ex aequo, suggerisco d'abbassare la qualità dei cantucci.
Finale col ponce alla livornese. Nel bicchiere massiccio, non quello del servizio bono, entra lo zucchero, messo a bagno nel rumme, segue doccia calda di caffè espresso e il tocco finale: scorza di limone, sbucciata a vivo pensando al limone come al contribuente al quale si cava la pelle prima di spremerlo: è il ponce a vvela, dove la vela dell'agrume prende il largo, lasciando una scia profumata dovuta alle nuances dei suoi olii essenziali. A questo punto una svaporata per ridargli vigore e incandescenza. Va bevuto con una sola accortezza: non essendo il bicchiere dotato di manico, va preso con la precauzione di impugnarlo dal fondo. A Livorno, vero ricettacolo di guitti, guasconi e burloni della più bell'acqua, si dice che il ponce, è l'unico che vi permetta di prenderlo per il hulo."

Nota dell'autore del Blog: La foto sopra è opera del mio commensale, il quale mi ha generosamente offerto la cena in cambio della pubblicazione della foto stessa che ovviamente è bellissima....

Bar Trattoria Il Toscano: Via Giuseppe Verdi, 20 - Solarolo Rainerio
Fraz. San Lorenzo Aroldo (CR) Tel. 0375 91098
Chiusura: lunedì e martedì, a meno che -come recita l'avviso esposto- "Se c'è da pigliar quattrini..."

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